Simeone, nell’intensità

Quella volta, durante un derby di Madrid che vidi al Bernabeu, fui colpito dai cori dei tifosi del Real che per tutta la partita continuarono a urlare cornuto a Simeone, allora centrocampista dell’Atletico – lui il nemico, il simbolo dei colchoneros; sua moglie la protagonista di un antipatico gossip.

Diego lottò e si ribellò come da cinque anni lotta e si ribella la sua squadra. Tuttavia, uscì due volte sconfitto.

Qualche anno dopo lo ritrovai mezzala dell’Inter europea di Simoni e Ronaldo: conosceva alla perfezione le caratteristiche di tutti gli avversari e credo che in più di un’occasione diede qualche dritta all’allenatore.

Simeone è argentino d’Italia, l’intuizione di Anconetani, poi di Moratti e di Lo Monaco che gli fece allenare il Catania; ma per tutti è solo l’Atletico.

Il suo è un calcio che divide ma che porta titoli prestigiosi e garantisce soddisfazioni: è il calcio delle linee difensive perfette, del contropiede sviluppato con rapidità da mezza squadra, delle scelte tecniche radicali nonostante il club continui a giocare con le rate del fisco spagnolo: Godin, Koke, Gabi, Greizmann e Juanfran, ma anche Torres, i suoi riferimenti; Falcao, Aguero, Diego Costa, Mandzukic, Miranda, Courtois, David Villa, Arda Turan, Alderwireld, Heitinga, Pizzi, Demichelis e Jackson Martinez, solo alcuni dei grandi sacrificati – negli anni – al bilancio e al mercato.

Il calcio di Simeone divide perché molti non lo considerano brillante e piacevole, ma è l’unica risposta possibile da parte di chi al potere dei milioni risponde con il cuore, le idee, l’applicazione, il lavoro. L’intensità. Non è calcio all’italiana, ha una sua identità, riconoscibilità: è il calcio del possesso palle.

La finale Real-Atletico a questo punto me la auguro.

La Juve più europea di sempre

Ci hanno mostrato quattro differenti partite in 210 minuti quando ne dovevano bastare due per sapere chi tra Juve e Bayern è più forte. Proprio per questo oggi si moltiplicano i rimpianti. I tedeschi si sono presi il primo tempo di Torino e il secondo di Monaco, più tutti i supplementari; la Juve è stata superiore nella ripresa a Torino e nella prima ora, davvero straordinaria, stordente, all’Allianz Arena.

L’avrei voluta vedere col Chiello

Sono convinto – sarò il solo – che se Allegri avesse potuto giocare col modulo di tutte le sicurezze, a 5 (i tre baritoni più Lichti e Evra sulle fasce) avremmo assistito a un’altra partita, di sicuro a un altro primo tempo.

Per Eranio il nero non sta bene su tutto

Questa – per intero – la frase incriminata, questo il giudizio espresso su Rudiger della Roma, responsabile di uno dei quattro gol realizzati dal Leverkusen: “I calciatori di colore, quando sono sulla linea difensiva, spesso certi errori li fanno perché non sono concentrati. Sono potenti fisicamente (…) però, quando c’è da pensare (…), spesso e volentieri fanno questi errori”.

Allegri e la sindrome del coglione

Lunedì mattina era tornato “coglione” (cit.), oggi è di nuovo fenomeno: bipolarismo critico e luoghi comuni. Sono settimane che ce la meniamo con la sindrome del secondo anno di Allegri, come se un professionista vicino ai 50 e con tanti anni di campo e panchina dietro di sé potesse e dovesse soffrire per tutta la vita degli effetti della ripartenza.