Totti che non finisce mai

C’è un passaggio dell’intervista di Donatella Scarnati a Totti che mi ha particolarmente colpito. Quando dice: “Nessuno può obbligarmi a smettere. Se e quando, lo decido io”. Manca il dove. Anche se è implicito che lui vorrebbe fosse Roma, la Roma. La sua Roma. Perché la Roma è sua: per ventitré anni ha avuto la sua faccia, la sua voce, ha vinto con i suoi gol, perso con i suoi errori; si è divertita con le sue battute e le sue smorfie; è diventata campione del mondo attraverso lui e insieme a lui ha lasciato la Nazionale nel 2006. “Francesco ha fatto la fortuna di molti allenatori” ricorda spesso Zeman. Qualcuno ci ha anche perso il posto.

Ieri, nel pieno del casino, ho ricordato uno dei momenti-chiave dell’avventura di Totti in giallorosso: la stagione – gestione Rosella Sensi – in cui acquistò delle azioni della società per consentire l’aumento di capitale e partecipare al risanamento, pagò inoltre gli stipendi ai magazzinieri e agli impiegati che non ricevevano soldi da mesi. Trovate che sia normale?

In questi anni Totti ha avuto la possibilità di andarsene. Al Real, al Milan. E’ rimasto per amore e fors’anche per un filo pigrizia: la Roma era la casa, la famiglia, le amicizie. Tutto.

Tra pochi mesi Francesco avrà 40 anni, il tempo di chiudere sarebbe (è) arrivato. Ma lui ha deciso che non è ancora il momento. Chiede che Pallotta gli dica la verità, che sia chiaro una volta per tutte. Basta promesse di comodo, illusioni: franchezza. Poi si vedrà.

Meglio di così, una delle storie d’amore e di fede più belle e grandi del nostro calcio, non si poteva concludere: con un corposo dramma della delusione e dell’ingratitudine, con una sorta di ripudio. Come nei romanzi indimenticabili.