I cori di un calcio fuori tempo

Ho provato a spiegare che – disinnescate squalifiche e multe – l’unica soluzione possibile, oramai, è quella di trascurarli, di non farci più caso: ma dopo ogni cantata offensiva, dopo ogni sinfonia di insulti, migliaia di persone pretendono giustamente che se ne riparli e si sottolinei la volgarità di certi cori.

Capita a tutti, ovviamente, anche a Beppe Severgnini, interista: “E questi cori allora? Ne scriverete sul Corriere? O vi limitate a condannare le parole di Sarri e a segnalare gli eccessi del San Paolo”, il contenuto dei messaggi che l’editorialista ha ricevuto sui social.

I cori offensivi li ho trattati numerose volte, la prima tre anni fa – me lo ha ricordato un lettore. Per questo recupero la risposta molto intelligente che ha dato Severgnini proprio oggi: “Ecco qui, lo scriviamo. Non è solo orribile quel che si urla negli stadi italiani: è tristemente antico. La società si muove, cambia. Intorno a un campo di calcio, invece, tutto rimane uguale. Ogni tifoseria è pronta ad offendersi per quanto subisce, ma giustifica tutto ciò che fa. Lo so: è inutile ragionare di questi temi. Saltano fuori “la fede”, l’elogio astuto dell’irrazionale…”.

“Nessuno pretende che gli stadi siano dei concerti, nessuno chiede silenzi attenti e commenti forbiti. Ma quello che accade negli stadi d’Italia – quasi tutti – è strabiliante: s’è fermato il tempo…. Sostenere la propria squadra non significa disprezzare o umiliare gli ospiti. Uno stadio che fischia ogni possesso di palla avversario dimostra insicurezza, non forza”.

Severgnini invita tutti a tifare col cuore. Io suggerisco di lasciare a casa il fegato e riattivare il cervello.

Quell’incompetente del Mancio

Sopravvalutato, raccomandato, incapace. La critica più divertente e grossolana è però di questi giorni, una sentenza del tribunale social