Italbasket, abbiamo trovato l’America

Il basket non è come il calcio, può e sa essere migliore. Nel basket, ad esempio, mandiamo i nostri ragazzi all’estero, in America, e da qualche anno a questa parte l’America ce li restituisce più maturi, robusti, completi (non sono più i tempi di Rusconi ed Esposito). Nel calcio avviene quasi sempre il contrario.

Pianigiani ha avuto più la fortuna che il merito di poterne mettere insieme tanti, di “americani”. E non a caso con Spagna e Germania la sua nazionale di notevoli individualità ha compiuto imprese indimenticabili, è stata capace di soffrire ed emozionarci uscendo più volte da situazioni che sembravano compromesse.

Seguo da appassionato – non da intenditore – il basket da oltre quarant’anni. Se nasci e cresci a Bologna, o meglio: se vi crescevi negli anni Settanta e Ottanta non potevi fare a meno di andare al Palazzo e tentare poi di ripetere in palestra o nei campi attrezzati nel quartiere gli stessi movimenti di Fultz, Albonico, McMillian, McMillen, Villalta, Serafini, Caglieris, Bonamico e compagnia cantante; lo seguo da appassionato, dicevo, e raramente ho potuto seguire una nazionale così ricca di contenuti e capace di sopravvivere a errori e sbandamenti.

Nella partita con i tedeschi ho trovato straordinaria e “molto da squadra” la capacità che i nostri hanno avuto di alternarsi al timone della barca in difficoltà: ha iniziato Alessandro Gentile nel primo quarto, poi è stata la volta di Bargnani, al quale è subentrato Gallinari, il più continuo; dopo il Gallo Aradori con due canestri-ossigeno e quindi Cinciarini, Cusin, Melli e infine Belinelli e di nuovo Gallinari.

Penso di aver trovato in un articolo di Dorfles l’essenza del gruppo di Pianigiani, ovviamente da adattare: “… i veri vincitori saranno quelli dove il braccio della bilancia dell’egoismo sarà identico a quello dell’altruismo, poiché le due fazioni si saranno strette equilibratamente la mano”.