Lasciatemi contare, io sono un italiano

Insigne non è Baggio ma ha colpi che lo ricordano e uno straordinario gusto/senso della giocata estrema: riconquistata la posizione di partenza più naturale, forma con Higuaìn la coppia d’attacco più convincente e pericolosa della Serie A; Florenzi è ormai la prima maglia che Garcia consegna nello spogliatoio della Roma, l’imprescindibile, il super-duttile; quattro dei 13 gol segnati dal Toro, i più importanti, sono di Baselli, il centrocampista del momento; Berardi ha l’incidenza su gioco e risultato del fuoriclasse; Saponara è tutto il fosforo dell’Empoli; Paloschi non sbaglia una partita e Pavoletti, 27 anni tra poche settimane, approdato tardi al livello più alto, è oggi tra i primi tre centravanti “classici” del campionato (Conte non lo priverà della gioia di uno stage della Nazionale); di un campionato che riserva agli italiani meno del 40% del minutaggio totale ma che riesce ugualmente a concedere spazi confortanti eleggendoli in maniera autonoma a nuovi idoli delle rispettive tifoserie.

Certo non siamo per qualità individuale ai livelli della fioritura delle classi 63, 64 e 65, quelle che consentirono ad Azeglio Vicini di presentare la più bella e ricca Under 21 di sempre, ma le risposte ottenute dal campo in queste prime 8 giornate portano argomenti validissimi ai tanti sostenitori dell’italiano.

Il nostro è un calcio che recita spesso due parti in commedia (pro e contro): è tuttavia in momenti come questo che deve trovare il coraggio di invertire la tendenza e puntare sul quel poco di buono che nonostante l’assenza di una politica illuminata è riuscito a produrre.