Ci sarebbe voluto il Vecchio. Le Ferrari in fuga per la vittoria oscurate per 25 giri dal regista del Gp d’Ungheria, le voci sui dissidi tra Ecclestone e i vertici di Maranello, il trionfo di Vettel, infine, e il risveglio di un popolo che ha orgoglio e fede, una fede cieca.
Ci sarebbe voluto Enzo Ferrari, ieri, e ne avremmo sentite e viste delle belle: probabilmente non si sarebbe mai arrivati all’ennesimo dispetto di Bernie.
Ferrari era vincente anche quando perdeva, e ha anche perso; era la Formula 1 nella sua essenza, la sua storia. In questi giorni ho avuto il privilegio di leggere il libro che Italo Cucci gli ha dedicato (uscirà tra settembre e ottobre), contiene immagini mai viste prima e soprattutto il racconto dei tanti incontri che il giornalista, all’epoca direttore di Autosprint, ebbe col Drake. Un Ferrari “intimo”, mai così autentico.
“Era feroce, il Vecchio, con quell’aria da sparviero che si portava fin dalla giovinezza” ricorda Cucci. “Allora gli serviva per celare la dolorosa povertà, lo aiutava a non sentire il peso dell’umiliazione mentre andava cercando un lavoro, un futuro decoroso; dopo sarebbe diventata il simbolo della sua grandezza che si voleva avesse profonde radici nel cinismo, nel pragmatismo assoluto, sicché gli sarebbero toccati, sì, i favori del destino ma anche manipoli di finti amici scodinzolanti e al tempo stesso fieri nemici che sognavano solo di vederlo morire, “e allora saremo liberi di vincere” – diceva Colin Chapman ai colleghi che ormai avevano appreso la dolorosa verità: il giorno che non correrà più la Ferrari non correrà più nessuno, e la Formula tramonterà”.
Oscurare la Ferrari significa oscurare un mondo.