Caro Arrigo, torna su questa terra

Nel giorno del suo settantesimo compleanno Massimo Moratti ha avuto uno stranguglione leggendo la Gazzetta dello sport e in particolare una frase di Sacchi, questa: “Una vergogna il Triplete senza italiani del 2010, i bianconeri in finale sono un raggio di sole”.

Non riesco a credere che Arrigo abbia usato il termine “vergogna” per definire il successo degli altri, mentre compresi perfettamente il senso del suo discorso di qualche mese fa sui settori giovanili “dove ci sono troppi giocatori di colore”. “Non c’entra il razzismo”, chiarì in seguito, “dico che stiamo perdendo orgoglio e identità nazionale”.

L’orgoglio e l’identità nazionali li abbiamo persi – non solo noi, tutti o quasi – da un pezzo: sono lo sport professionistico e in alcuni casi i grandi soldi ad autorizzare la composizione di squadre di soli stranieri. Il calcio è molto cambiato da quando Sacchi lo insegnava al mondo col Milan degli olandesi; oggi Chelsea-Psg di Champions, per fare un esempio recentissimo, si gioca con Courtois; Ivanovic, Terry, Cahill, Azpilicueta; Ramires (Drogba), Matic (Zouma); Oscar (Willian), Fabregas, Hazard e Diego Costa opposti a Sirigu; Marquinhos, David Luiz, Thiago Silva, Maxwell; Matuidi (Rabiot), Thiago Motta, Verratti (Lavezzi); Cavani, Ibrahimovic, Pastore: contate il numero di inglesi e francesi.

Ha ragione il mio amico Paolo Condò: “Se i tempi hanno aggiornato limiti e regole, definire vergognoso chi vi si è adattato non è un’opinione ma un insulto”.

Sacchi ha tutto il diritto di parlare di passato e ideali; noi siamo più o meno felicemente condannati a tenerci il calcio senza identità nazionale. Non tutti possono avere la fortuna di ritrovarsi a lavorare con Tassotti, Costacurta, Baresi, Maldini, Ancelotti e Donadoni; oppure Buffon, Barzagli, Bonucci, Chiellini, Pirlo e Marchisio.