Il miglior attacco, la seconda miglior difesa, il capocannoniere dell’andata con 18 gol in 19 partite, una media da record di sempre, l’imbattibilità interna; e poi la rivalutazione di Hamsik, Jorginho e Koulibaly, la tenuta di Albiol, la crescita di Insigne, il completamento tattico di Callejòn, la tifoseria sedotta e conquistata.
Non mi nascondo, e anche per questo mi ripeto: l’estate scorsa ero iscritto al partito dei diffidenti, eravamo milioni, perché pensavo che Sarri, il tecnico venuto dal basso, non avrebbe potuto ottenere tutto quello che ha ottenuto in poco più di sei mesi. Eppure uno come lui l’avevo (l’avevamo) invocato per due anni, sottolineando che al Napoli sarebbe servito l’allenatore che addestra, non quello che gestisce.
Antonio Cannavacciuolo, il popolarissimo chef stellato campano, oggi lo descrive così: “E’ un bravo fornaio che cura la lievitazione”; in effetti la lievitazione del Napoli si è completata con successo e in un tempo sorprendentemente breve sia dal punto di vista tattico sia da quello atletico.
Non sono in grado di affermare che Sarri ce la farà a compiere il miracolo dello scudetto al primo anno (“una bestemmia”, ripete spesso), nessuno lo è; sono tuttavia convinto che le condizioni ci siano tutte: Juve, Inter, Fiorentina e Roma non sono perfette, forse solo la Juve grandi imprese lo è più delle altre.
Non credo che – come sostengono in tanti – Mister Tuta sia un artista dell’umiltà: trovo infatti che sia sostenuto da una straordinaria fiducia nel lavoro, dall’arroganza delle idee; che sia, in altre parole, un allenatore caldo e tumultuoso, di notevoli lucidità e trasparenza nei rapporti con la squadra.