Leicester, una favola che è speranza

Come decine di migliaia di appassionati italiani non me ne perdo una. E seguirò naturalmente anche le prossime sei partite del Leicester. Perché mi piacciono le grandi favole, le grandi sorprese – storie eccezionali per un mondo che tende ad azzerare molte fantasie.

Negli ultimi mesi mi sono, ci siamo ritrovati a tifare per Norman, per il Huth il fabbro, per Kanté, Drinkwater, Ulloa; Vardy è diventato il nostro idolo, Okazaki e Mahrez due costanti riferimenti tecnici. Ma è il principe dei Foxes, Ranieri, amico da un quarto di secolo, la figura più coinvolgente. Claudio ex Tinkerman, 64 anni, la sta vivendo con la sobrietà e la furbizia di sempre, con una punta di giovanile leggerezza assapora ogni momento, gioca con le parole e in fondo ci prende un po’ in giro: sa stare al mondo.

The Players’ Tribune ha pubblicato una sua lettera aperta della quale vi offro alcuni passaggi: niente di speciale, bella perché semplice. S’inizia così: “Ricordo il primo incontro col presidente quando arrivai a Leicester l’estate scorsa. Si sedette vicino a me e disse: “Claudio, questo è un anno importante per il club. È necessario per noi rimanere in Premier, dobbiamo salvarci”. Risposi: “Ok, certo. Lavoreremo duramente sul campo e proveremo a farcela. Quaranta punti. Questo era l’obiettivo, il totale di cui avevamo bisogno per dare ai nostri tifosi un altro anno in Premier. Mai mi sarei immaginato che il 4 aprile avrei aperto il giornale e trovato il Leicester primo in classifica con 69. L’anno scorso, nello stesso giorno, era in fondo”.

… “Ai tifosi di ogni parte del mondo che hanno cominciato a seguirci – prosegue Ranieri – dico: benvenuti, siamo felici di avervi con noi. Voglio che amiate il modo in cui giochiamo a calcio e che amiate i miei giocatori perché il loro percorso è incredibile. Erano considerati troppo modesti o lenti per altri grandi club. Kanté, ad esempio, correva sempre così tanto che pensavo avesse un sacchetto di batterie nascosto nei pantaloncini. Ho dovuto riprenderlo: “Hey, N’Golo, piano, vai piano. Non inseguire il pallone ogni volta”. E lui: “Sì, capo, sì. Ok”. Dieci secondi dopo stava correndo ancora. Vardy non è un calciatore, ma un cavallo fantastico. Ha bisogno di essere libero in campo. Gli ripeto sempre: “Sei libero di andar dove vuoi, ma ci devi aiutare quando perdiamo la palla. È tutto ciò che ti chiedo. Se inizi tu a pressare, i compagni ti seguiranno”.

“Prima di ogni partita, li carico così: Avanti, ragazzi, rete inviolata oggi, e se prendiamo gol, la volta dopo cerco di dare una nuova motivazione. Come col Crystal Palace, quando ho promesso la pizza per tutti in caso di rete inviolata. E infatti, “clean sheet”. Li ho portati in pizzeria, ma gli ho detto di farsele da soli, le pizze”.

“Ci mancano sei partite. Dobbiamo continuare a lottare col cuore e con l’anima. Siamo un piccolo club che sta mostrando al mondo cosa si può raggiungere con lo spirito di squadra: 26 giocatori, 26 cervelli diversi, ma un solo cuore. Fino a pochi anni fa molti dei miei frequentavano le leghe inferiori. Vardy lavorava in fabbrica, Kanté e Mahrez erano nella terza e quarta divisione francese. Ora lottano per il titolo. Non importa cosa succederà alla fine, penso però che la nostra storia sia importante per tutti i tifosi di calcio del mondo. Dà speranza e incoraggia chi si considera meno abile a lavorare per migliorare. Cosa serve? Bisogna avere la mente aperta, così come il cuore, una batteria carica e correre liberi”. Verso l’eternità.