Un giorno all’improvviso/
Mi innamorai di te/ La canta tutta Italia/
Non chiedermi il perché/
Di tempo ne è passato/
Ma sono ancora qua/
E di questo coretto/
Mi sento io il papà/
Alé alé alé alé alé alé
Anche questo è Juve-Napoli. Ieri – era una semplice, innocente battuta – ho tuittato “Suggerisco ai tifosi juventini di non cantare “Un giorno all’improvviso…” durante Juve-Napoli, il 13: Higuaìn & Co. si sentirebbero a casa”. Si è scatenato l’inferno, essenzialmente sulla paternità del coro. “Allo Juventus Stadium la cantiamo da quattro anni”, “bastardo, l’hanno inventata gli juventini”, “uno dei Righeira, tifoso bianconero, l’ha scritta per noi, informati!” e via discorrendo. In Italia ci si divide e si offende anche per una canzoncina da stadio. Questo siamo diventati anche grazie ai social: tu dammi la voce e io ti faccio sentire chi sono e cosa penso di te. Il coro in questione è un’invenzione della tifoseria aquilana, l’ha reso popolarissimo la curva del Napoli, ma non è questo il punto. Il punto è che nella “guerra delle curve” nulla è ammesso, neanche per scherzo. Un giorno all’improvviso… un arbitro ha finalmente interrotto una partita per gli ululati e i cori razzisti. Un giorno all’improvviso… la federcalcio sta per aprire un fascicolo sul colloquio tra gli ultrà interisti e la squadra dopo la sconfitta nel derby (violazione di una norma del 2015). Un giorno all’improvviso… allo stadio non si respira più e quando trovi un tifoso che la prende con la filosofia e un sorriso ti verrebbe voglia di premiarlo e chiedergli di mostrare la carta d’identità: forse è straniero. La leggerezza, l’allegria che appartenne al calcio si è frantumata sulla curva, è l’amaro di una malintesa e distorta necessità di appartenenza.