I buoni, i Bonucci e i cattivi

“Facile tifare per chi vince” si è lamentato il social Bonucci, quello di “sciacquatevi la bocca prima di parlare della Juve”. Poche ore prima, allo Stadium, Buffon era stato più morbido, quasi vellutato ma altrettanto energico. Rivolgendosi alla curva piena aveva detto: “Abbiamo bisogno del vostro aiuto”.

Dunque, la “bolgia” tante volte invocata da Conte si è sorprendentemente ribellata al primo malcalcio e a un mercato un po’ confuso, specie nella fase finale. L’ha fatto in due tempi: poco prima dell’intervallo e alla sostituzione di Sturaro.

Qualcuno ha subito ricordato la teoria del secondo anno di Allegri (al Milan il peggiore fu il terzo), altri hanno sottolineato il loro spiazzamento e la delusione di fronte a un solo punto in tre partite (-8 rispetto alla stagione scorsa) e a una squadra che al momento non ha né capo, né coda.

Ma è giusto fischiare ai primi scivoloni chi per quattro anni ti ha fatto godere come un pazzo raggiungendo addirittura la finale di Champions?

Secondo Giancarlo De Andreis, autore televisivo e romanista riflessivo ma non troppo, “i fischi sono una delle conseguenze del motto criminale ‘vincere non è importante, è l’unica cosa che conta’”. In altre parole, la Juve sarebbe, è, vittima di se stessa e della sua fin troppo sbandierata vocazione al successo, soprattutto in Italia.

Sui fischi il tifo juventino si è diviso, la maggioranza si è però schierata dalla parte dei critici rumorosi riaffermando il concetto del pubblico pagante e quindi nel pieno diritto di manifestare approvazione e disapprovazione.

La chiosa è stata di Marotta che con poche, semplici parole ha gettato altra benzina sul fuoco: “Non culliamoci sui successi del passato”.

Se non si trattasse della Juve, pochi limiti e qualche devianza, darei ragione – totalmente – a Bonucci.