C’è un passaggio della lettera con la quale Mauro Berruto chiarisce le ragioni delle dimissioni da ct della nazionale di volley che considero tanto fondamentale quanto inquietante, ed è questo: “Ho un ultimo desiderio che devo soprattutto ai miei figli Francesco e Beatrice: vorrei spiegare loro che il nuovo modo di comunicare fondato sulle opinioni espresse sulle pubbliche piazze virtuali dei social network, ha fatto sì che siano state di me scritte cose che spero loro non leggeranno mai. Dietro ai ruoli ci sono persone e il principio del rispetto della persona dovrebbe guidare anche questo nuovo modo di comunicare. Mi piacerebbe che Francesco e Beatrice crescessero con l’idea che rispettare le regole e le persone è talmente bello da essere rilassante. Mi piacerebbe che andassero orgogliosi del fatto che il loro papà, partendo dal nulla, abbia avuto l’onore infinito di rappresentare il nostro Paese. Mi piacerebbe fossero orgogliosi del fatto che, al di là di 7 medaglie vinte, il loro papà possa essere ricordato per averlo fatto sempre e comunque con onestà. Con fatica, con onestà e con la schiena dritta”.
In altre parole, nessun sistema complesso può reggere alle bordate continue e incessanti di chi ne è fuori e odia perché ne è fuori.
Certo, Berruto avrebbe potuto evitare di frequentare Twitter o Facebook: ma essendo un uomo connesso col mondo, con l’altro, e dotato di notevole sensibilità – per lui “sociale” significa impegno, presenza, attenzione agli altri -, dai social è stato travolto, naturalmente dopo la prima grande sconfitta della carriera (le medaglia non si contano), il tredicesimo posto ai Mondiali in Polonia.
Ho (abbiamo) letto di tutto contro lui, specie quando – di recente – si è permesso di rispedire a casa dal Brasile quattro nazionali, tra i quali il capitano Travica, che avevano trasgredito alle regole, e lui l’ha risolta uscendo di scena e dando a tutti una lezione splendida quanto inutile, purtroppo.
Berruto se ne va, i social restano. Con la loro carica di violenza, insofferenza, invidia, odio.
Siamo persone, non profili.