“Il calcio italiano deve ripartire dai giovani”, lo ripetiamo insistentemente da quando ci siamo accorti di valere e contare molto meno di un tempo.
Qualcuno ci ha provato con successo, addirittura in Belgio, come ha ricordato Marc Wilmots, il selezionatore della nazionale più sorprendente e fresca del momento: “I nostri club hanno puntato sui ragazzi di 16/17 anni che crescono così attraverso la prima serie e le coppe”.
Per noi è quasi impossibile abbandonare i vecchi fusti per i fustini, visto che non ne produciamo più. Al cuore e al portafoglio, poi, non si comanda, e allora rinnoviamo il contratto a Buffon che chiuderà forse a 40 anni, ci battiamo con vigore affinché Totti, 40 tra poche settimane, possa giocare un’altra stagione e proviamo per la ventesima volta inutilmente a riportare in Serie A Ibra: presto anche per lui saranno 35, il doppio dei milioni che guadagna in un anno – Bellini, Toni e Di Natale hanno ceduto per consunzione.
I soldi li abbiamo finiti, le idee sono pochissime e non potendo permetterci una Ferrari nuova di zecca ripieghiamo sulle Mercedes ala di gabbiano del ’76 o del ’78.
Dalle altre parti spediscono con tutti gli onori e pochi rimpianti negli Stati Uniti o negli Emirati Gerrard, Lampard, Keane, Xavi per far posto a un 18enne da 37 milioni di euro quale è Renato Sanches (Bayern) o a ventenni strapagati quali de Bruyne e Sterling (City).
La conclusione è una sola: o ce ne facciamo una ragione, smettiamo di lamentarci e continuiamo a lottare per la sopravvivenza oppure sparecchiamo e vediamo di nascosto l’effetto che fa.