Aveva tutto ciò che desiderava e che aveva sempre desiderato: i campionissimi ovunque (da Mister unoazero Ronaldo a Modric, da Ramos a Bale, da Marcelo a James), e aveva finalmente il suo Madrid, squadra del cuore e della pelle, la protezione di un dirigente amico molto influente (il direttore generale José Àngel Sànchez) e la Champions; inoltre, grazie alla chiamata di Florentino era riuscito a cadere in piedi dopo la singolare e poco fortunata esperienza napoletana.
Aveva tutto, ha perso tutto. Tutto tranne i soldi.
Pur avendolo criticato per quasi due anni, non sono fra i tanti che hanno accolto con un sottile e stupido piacere l’esonero dopo appena sei mesi di Benitez. Anche perché il suo destino era scritto: Rafa l’ha voluto sfidare e dal confronto con qualcosa più grosso di lui è uscito con le ossa rotte. L’esperienza interista non gli era bastata: avrebbe dovuto sapere che subentrare a un tecnico vincente – Ancelotti dopo Mourinho – e che aveva costruito un rapporto molto speciale con la squadra sarebbe stato rischiosissimo. Ha creduto di potercela fare. Ha sbagliato di nuovo.
La fine della breve storia col Real è il fallimento più grande della carriera di Benitez, poiché non è dipesa esclusivamente dai risultati: in fondo avrebbe ancora potuto vincere tanto la Champions quanto la Liga. E’ il più grande perché ne segna tanto il futuro quanto il passato e il presente. Che appartiene anche a Sarri, quello senza pedigree, né titoli; a un successore che attraverso l’addestramento ha dato un ulteriore colpo alla credibilità dello spagnolo.