Valeria mancherà all’Italia

Tanto mi capirete benissimo se in qualche modo salto l’appuntamento del lunedì, se scrivo che non ce la faccio a scrivere, che non ho quella leggerezza che permette di trattare argomenti sportivi; l’indignazione e la rabbia hanno fatto posto a una condizione che ho difficoltà a descrivere: non è paura – per chi amo, più che per me – ma un senso di impotenza, di svuotamento e ansia; impotenza e svuotamento e ansia che derivano dalla consapevolezza di non poter far altro che aspettare che decidano per noi.

La strage di Parigi ci ha scioccati come l’11 settembre, ma con una differenza: stavolta sono stati colpiti simboli non americani ma universali, i luoghi del divertimento: uno stadio, un locale nel quale si stava tenendo un concerto, un ristorante, un bar. Il terrorismo ha mirato in alto, al nostro stile di vita, “ai luoghi di depravazione dei crociati” (tentativo molto goffo di giustificarsi a posteriori, come l’ha definito Gilles Kepel, esperto di Islam). E hanno mirato più vicino, in Francia, a un passo da noi.

Certo, la vita deve andare avanti, non ci si può arrendere alla violenza, anche lo sport deve dare l’esempio – le solite formule che ripetiamo ossessivamente ogni volta che tentano di fermarci per sempre. Ma quanto è complicato ripartire, oggi.

Non volevo scrivere e ho scritto cose di nessuna importanza di fronte al volto di Valeria e a quelli di chi da venerdì scorso non ha più il giorno dopo.

Sarebbe bastato ripetere le parole della madre di Valeria, nel suo dolore composto: “Mancherà a noi e mancherà all’Italia, perché era una studiosa, una cittadina, una bella persona”.