Il girone lo superava anche con un Milan in difficoltà. Al primo anno di Juve ha raggiunto la finale; al secondo, la qualificazione con un turno d’anticipo. Eppure il gruppo D non era considerato dei più semplici: i milionari del City, le due E-League di fila del Siviglia di Emery, la nuova vita del Moenchengladbach. Undici i punti raccolti in 5 partite, più del doppio di quelli della Roma che ha peraltro la peggior difesa della Champions.
In Europa Allegri lo fa decisamente meglio di Garcia e di tanti altri (Conte in primis), anche con una squadra rifondata e per molti impoverita. Perché insegue la semplicità e l’efficacia di un’idea di calcio (Cuadrado, ad esempio, gioca bene ma non fa giocare bene) mentre Garcia, il francese romanizzato, “è narcisista almeno quanto la squadra. Narcisista e cosciente dei limiti”, come sottolinea Sconcerti. Fin troppo cosciente dei limiti della Roma, se solo si pensa a come si presentò (perdente in partenza) l’anno scorso a Monaco dopo l’1 a 7 dell’andata e a come ha affrontato la trasferta di Barcellona – e non parlo di quella di Borisov o del secondo tempo col Leverkusen all’Olimpico.
Tra ieri e oggi in tanti hanno chiesto la testa di Rudi: io no, io sono curioso di vedere se e come reagirà al cazzottone del Camp Nou.
Le squadre italiane devono essere guidate da italiani, da tecnici capaci di ridurre con la tattica i limiti delle mediocrità e di lavorare sull’avversario. Di Mourinho ce n’è uno. Gli altri si chiamano Ancelotti, Capello, Lippi, Mancini, Trapattoni, Spalletti e anche, ma sì, Ranieri, quello che alcune stagioni fa, per Mou, aveva appena compiuto 70 anni.