Pioli, hanno trovato il colpevole

Non interesserà a nessuno, ma mi dispiace e non poco per Pioli. Pioli che oggi mostra (è) il volto della sconfitta: in meno di quattro mesi, vacanze e ritiro inclusi, ha perso tutte le finali della sua vita di allenatore – coppa e supercoppa Italia, preliminare di Champions – complicandola terribilmente. Da questo momento in avanti dovrà far fronte ad attacchi di ogni genere, a diffidenze e scetticismi diffusi, per tentare di staccarsi di dosso l’etichetta di grande perdente: tifosi e stampa infieriscono su chi non ce la fa, sul debole, e cosa importa se le responsabilità non sono solo sue. I presidenti se ne sbarazzano in fretta.

Pioli ha 50 anni, a 49 è arrivato finalmente e con merito al club di vertice dopo aver lavorato a Salerno, Modena, Parma, Grosseto, Piacenza, Sassuolo, Chievo e Bologna, un percorso quasi tutto emiliano – la disavventura di Palermo (esonerato prima dell’inizio del campionato) non fu altro che un’incomprensibile zamparinata.

Alla Lazio ha dato subito un gioco e parentesi di serenità, una finale di coppa e uno straordinario terzo posto davanti a Fiorentina, Napoli, alle milanesi, risultati poi vanificati in meno di 400 minuti.

Pioli, tecnico preparatissimo e uomo rispettoso e mai sopra le righe, avrebbe dovuto essere protetto dalla società con l’acquisto di giocatori pronti, non di prospettiva, in particolare un attaccante di livello internazionale; si è dovuto presentare a Leverkusen senza Biglia né Marchetti, né Klose e Djordjevic e insomma ha dovuto affrontare un avversario più forte con alcune armi spuntate.

Ma per tutti il colpevole è lui: tre indizi fanno una prova.

Disse Baudelaire: “La vita ha un solo autentico fascino: è il fascino del gioco. Ma se ci fosse indifferente vincere o perdere?”

Nel calcio del profitto, dei debiti e dei coefficienti chi perde è perduto.