In progressione, nel giro di pochi giorni: la baruffa con Sarri e l’accusa spiazzante in tv (“mi ha detto frocio e finocchio”); la frecciata pubblica a Icardi (“a cinquant’anni quel gol l’avrei segnato anch’io”); la stilettata all’amico Sinisa (“deve fare meno battute”); il dito medio mostrato ai tifosi milanisti che lo insultavano dopo l’espulsione nel derby. L’ultimo Mancini è il più nervoso e impopolare di sempre: detestato da napoletani e milanisti, non può nemmeno contare sul sostegno della maggioranza degli interisti, in crisi di risultati e fiducia: la sconfitta col Milan brucia enormemente.
Cosa stia succedendo a uno dei tecnici italiani più apprezzati all’estero e meno in Italia non è facile sapere: Mancini è sempre stato iper-reattivo, in campo e fuori non le ha mai mandate a dire e molto spesso è andato allo scontro talvolta fisico con dirigenti e colleghi avversari (Galliani, Moggi e Capello erano i suoi bersagli preferiti) ma anche con i giornalisti e addirittura con i suoi giocatori (memorabili i confronti a muso duro con Peruzzi e Rui Costa); ha sempre avuto la catena lenta, dicevo, ma mai come in queste ore.
La squadra non lo soddisfa, e si vede, il gioco è scadente e la società ripiegata su di sé: gli inglesi di Thohir stanno facendo progressivamente piazza pulita del passato morattiano e l’Inter più che pazza e amata in questa fase è turbata e avvelenata.
A Mancini, che ha indiscutibili capacità e talento ma soffre di eccesso di perfezionismo, manca un interlocutore di personalità che goda della sua fiducia, uno col quale confrontarsi. Purtroppo di gente come Paolo Mantovani e il “dottor” Borea il calcio non ne esprime più. E lo stesso Mihajlovic allena il Milan.