Ronaldo ha preso lo stesso ascensore di Pelé nel ’70, è salito fino all’ultimo piano e dopo 50 minuti di nulla o quasi ha spezzato l’equilibrio della partita. Pochi istanti dopo, tornato a terra, è entrato sul raddoppio firmando l’accesso alla finale.
CR7 noi non l’avevamo, non l’abbiamo: l’abbiamo avuto, però, si chiamava Baggio, Del Piero, Totti, e ancor prima Rivera, Mazzola. Siamo rimasti senza campione, senza spacca-partita, in Francia abbiamo provato a risolverla con altri mezzi e uomini e contenuti. I valori. E’ andata benino, non benissimo.
L’ultimo dei nostri mohicani è Francesco Totti, 40 anni, questo significa che quando a maggio del prossimo anno anche lui lascerà il calcio ci guarderemo intorno e, al massimo, troveremo dei buoni giocatori.
Questo Europeo ci ha detto che è giunto davvero il momento di ricostruire, di provare a rinascere. Sì, ma come e con chi? Con le seconde squadre?, con questi dirigenti?, con i cinesi? Siamo noi il nostro inverno: in Italia resiste soltanto la voglia di calcio, ed è tanto. Ci lasciamo sedurre dall’evento, nella normalità ci frenano il realismo, la paura dell’ignoto, lo scetticismo, siamo nevrotici, calcisticamente infelici.
Non abbiamo Ronaldo, siamo diventati un mercato di seconda fascia, collezioniamo rifiuti, apriamo i giornali con una riserva della Croazia (Pjaca). Dobbiamo riprenderci il posto che occupavamo nell’ascensore. Senza troppa fretta, ma con decisione.