Fra meno di tre mesi comincia la fase finale dell’Europeo per cui non ha senso, oggi, istruire processi – ovviamente sommari – al calcio italiano: questi siamo da anni e questi siamo destinati a restare a lungo, purtroppo.
A Monaco ne abbiamo presi 4 dai campioni del mondo molto più giovani e più bravi di noi (noi che, lo ricordo, non più tardi di due anni fa fummo eliminati ai Mondiali dal Costarica); ma abbiamo giocato con una squadra impresentabile, irripetibile (a un certo punto tutti insieme Ranocchia e Acerbi, Montolivo e Motta, Parolo e Antonelli): avete presente quando un club si riaffaccia in campionato dopo l’impegno di coppa con sei o sette seconde linee e pareggia con Carpi o Frosinone? Ecco, questo è successo: solo che di fronte non avevamo il Carpi o il Frosinone – stima assoluta – ma Kroos e Gotze, Muller e Draxler, Hummels e Ozil.
Siamo quello che siamo: ci sorregga la fede. La fede è la consapevolezza che con Barzagli, Marchisio, Chiellini, Verratti e Candreva qualcosa di meglio possiamo fare.
In fondo quattro anni fa eravamo soltanto un po’ più giovani, avevamo un attacco con Cassano e Balotelli, ovvero non proprio due fenomeni di regolarità, ma in finale riuscimmo ugualmente ad arrivare. Per prenderne quattro.
Il nostro problema principale è proprio l’assenza di un attaccante di livello internazionale, di un risolutore di micro-crisi di gioco, di un riduttore di distanze tecniche, di un Higuaìn; per il resto ce la possiamo anche cavare: gli altri hanno Ronaldo, Ibra, Lewandowski, Muller, ma anche Vardy, Bale, Mandzukic, Diego Costa, Lukaku, Martial; noi dobbiamo accontentarci di Pellé, Zaza, Immobile e pregare che Insigne faccia l’Insigne.
Per dirla tutta, Polonia, Portogallo, Svezia, Galles e Croazia non sono più forti di noi. Ma hanno quello che la butta dentro.