Rispetto per i morti (e per i vivi)

Rispetto per i morti, e un po’ anche per i vivi. Lo spettacolo allestito dalla Curva Sud dello Juventus Stadium sabato scorso è stato fantastico, indimenticabile; i cori che l’hanno preceduto e gli hanno fatto seguito ci hanno però riportato sulla terra delle piccole miserie quotidiane, nel mondo opaco dell’odio, non della rivalità – lo stadio come luogo della caduta.

Rispetto. Quello dovuto alle 39 vittime della tragedia che cambiò la storia del calcio, juventini e non solo, uccisi dalle negligenze degli organizzatori, da un impianto fatiscente, un po’ da tutti ma non dal destino.

Rispetto per chi non ha mai ottenuto giustizia, per chi è stato dimenticato – nessuno ha pagato -, per le famiglie e gli amici di chi nel settore Z ha lasciato la vita; famiglie e amici condannati all’ergastolo del dolore.

In questi giorni sono usciti almeno quattro libri sulla partita maledetta del 29 maggio 1985 (io ero lì, spiazzato e angosciato come tutti); numerosissimi i ricordi, le ricostruzioni, gli inviti alla non-violenza nello sport, nel calcio.

E allora rispetto per i morti, ma anche per i vivi: per l’avversario, anche se lo si sente distante, nemico. Macchiare una “coreografia” come quella della Sud con i cori anti-Napoli è stato un autentico sacrilegio.

I 39 dell’Heysel dovrebbero essere rispettati ogni domenica, ogni giorno, e soltanto chi in questi trent’anni ha esposto negli stadi italiani striscioni offensivi nei loro confronti dovrebbe pagare con una porzione di dolore.