E’ il metodo Galliani che non funziona più; è l’assenza di progetti tecnici, di una programmazione più articolata, profonda e sviluppata nel tempo; sono soprattutto l’aziendalismo, l’emotività e la passione per i colori e per se stesso dell’ad – talvolta condizionato dal presidente, non dimentichiamolo – a frenare il rilancio del Milan: Allegri, Seedorf, Inzaghi e Mihajlovic, quattro differenti tipologie di allenatore, non possono essere tutti incapaci.
Ma non è Galliani, lo ribadisco, ad avere sempre l’ultima parola: ricordo il braccio di ferro con Berlusconi (contrario) per la conferma di Allegri, il terzo anno; e come lo stesso Galliani dovette mandar giù il rospo Seedorf o far buon viso a cattivo gioco quando il capo e i costi eccessivi gli imposero Inzaghi; ma è Galliani a indirizzare il mercato – troppo spesso sull’asse Genova-Milano -; ed è Galliani – e qui entra in gioco l’emotività – a rispondere con 20 milioni per Bertolacci quando l’Inter gli soffia Kondogbia trascurando colpevolmente il fatto che al centrocampo del Milan mancavano e mancano interpreti con caratteristiche diverse da quelle dell’ex genoano; Kucka all’ultimo minuto, poi…
Accantonata la gratitudine per i tanti, straordinari successi del primo Galliani, i tifosi sono stati i primi a contestarlo direttamente e aspramente mostrando una profonda conoscenza delle dinamiche e delle relazioni mercantili dell’ad (il valzer dei procuratori di fiducia); più morbida e tollerante la stampa (non tutta).
Galliani ha ancora tre anni di contratto con Fininvest, gode della fiducia di Marina e dell’amicizia del capo, ma adesso deve farsi aiutare (non vedere) da uno bravo.