In passato abbiamo avuto il culo di Sacchi, poi quello di Zac (Zaccheroni) e adesso ci ritroviamo a discutere del fondoschiena di Mancini; Mancini al quale gli avversari, alcuni colleghi (suoi) e parte della critica faticano a riconoscere meriti, capacità.
Da quando si è messo a fare l’allenatore (Fiorentina, coppa Italia in due partite) gli è stato dato del raccomandato, del sopravvalutato, dell’esoso, del montato, addirittura dell’incapace. Ora Mancio è banalmente “troppo fortunato”. Navigando per siti, mi sono imbattuto in una pagina della stagione scorsa, decisamente poco brillante per l’Inter, il cui titolo era: “Dov’è finito il culo di Mancini?”. Niente di nuovo dove batte il sole.
Diceva Oscar Fingal, pseudonimo attribuito a Wilde: “La fortuna ama concedersi solo a chi la merita, e non è cieca come generalmente si crede, ma la sua chiaroveggenza sfugge a un giudizio superficiale”.
Concordo. Dopo 16 giornate – siamo quasi a metà del percorso – e con 36 punti, 15 più della passata stagione, parlare ancora di fortuna è fuori luogo: se Handanovic para il possibile e anche l’impossibile dopo aver ritrovato la pace contrattuale; se Miranda e Murillo rimediano sistematicamente agli errori dei compagni; se gli avversari non la buttano dentro e, anzi, pressati ti servono deliziosi assist (Udine) è doveroso ricondurre tutto al lavoro e al calcio: anche il culo ha una sua scadenza naturale.
In questi primi tre mesi e mezzo di campionato Mancini ci ha mostrato una cosa mai vista: l’estremizzazione del concetto di turnover. Pur non avendo le coppe, ha cambiato sempre recuperando e tenendo in vita giocatori come D’Ambrosio, Nagatomo, Biabiany, Montoya e lasciato via via in panchina Icardi, Brozovic, Palacio, Kondogbia, Guarin, Jovetic, Liajic, Perisic, Melo. Sospetto che se in settimana Thohir si farà vedere alla Pinetina avrà pure lui una maglia contro la Lazio.