Sarri è per la fase difensiva quello che Zeman è (o è stato?) per l’attacco: i movimenti dei suoi giocatori, frutto di ore di allenamento, di continue e sfiancanti ripetizioni, sono assai prossimi alla perfezione. Così come per Zeman, anche per Sarri esiste una parola magica, la chiave d’accesso ai risultati: disponibilità. Al lavoro, al sacrificio; a farsi il mazzo ogni santo giorno, insomma. Naturalmente la disponibilità devono garantirla i giocatori: non a caso tanto Sarri quanto Zeman danno il meglio di sé quando possono preparare giovani in cerca di gloria: nei giorni scorsi, durante l’incontro con Ferrero, Romei e Osti della Samp, Sarri spiegò che per metterlo nelle condizioni ideali avrebbero dovuto togliere complessivamente una trentina di anni ai quattro della difesa.
Prendendo Sarri, de Laurentiis ha avuto coraggio, anche troppo: in primo luogo deve farlo digerire a una piazza che teme il ridimensionamento, il lungo passo indietro. Dopo aver trattato per mesi (da fine novembre) con altalenante convinzione Montella e Mihajlovic, sondato Spalletti e Prandelli e una volta andato a vuoto il viaggio in Spagna per Emery, il presidente-produttore ha virato sull’opposto di Benitez: da Rafa il manager a Sarri l’allenatore, dall’internazionale al provinciale, da chi ha vinto parecchio a uno che in carriera ha conquistato solo una panchina d’argento. Benitez e Sarri hanno una sola cosa in comune: l’età.
Curioso che de Laurentiis abbia portato via l’allenatore proprio al presidente che si era mostrato più critico nei confronti di Benitez. “Il Napoli è una grande squadra ma lavora pochissimo” disse Fabrizio Corsi dopo il 4 a 2 a Higuaìn e compagnia. “Se fossero a Torino con Allegri avrebbero venti punti in più”.
Quel che potrà fare Sarri a Napoli lo scopriremo dopo tre settimane, una volta verificate le reazioni del gruppo ai suoi metodi. Di sicuro alla prima partenza per una tournée estiva il nostro andrà al manicomio: guai a togliergli dieci, dodici allenamenti.