Ieri sera sembrava pettinato alla galleria del vento, non un tatuaggio visibile, di orecchini neppure l’ombra, il viso pulito come mamma l’ha fatto. Nessuna concessione al look, dunque, se non quella curiosa tettoia di capelli dalle sfumature rossastre. Messi non beve e non ha altri vizi, non rilascia interviste da prima pagina; un giorno, forse, si è concesso una scappatella con una femmina, ma non è sicuro; Messi ha un figlio naturale e un altro in arrivo; solo a evasioni fiscali il confronto è possibile.
Al 35’ del secondo tempo di una partita bella come una finale del Mondiale, Messi ha fatto una cosa che soltanto “quell’altro” sapeva fare: finta a 100 all’ora, difensore disorientato come un marito all’Ikea, e prima che il portiere (Neuer, mica micio micio) potesse azzardare l’intervento, tocco morbido a scavalcarlo. Ma non un tocco normale, umano: uno marziano.
L’anno scorso Messi sembrava svuotato, rimpicciolito, superato nelle classifiche di gradimento da Cristiano Ronaldo: uno specialista friulano l’ha riportato al mondo.
Messi segna un gol a partita da 400 partite; Messi serve assist, finte, sinuose serpentine, ha lo scatto nello scatto e la telecamera posteriore.
Messi è un dio, la cosa più vicina a Maradona che il calcio ci abbia regalato.
Ma Maradona è ancora megl ’e Messi, così come era megl ’e Pelé.